Riflessioni su una trasformazione che Esclude e sul concetto di Democrazia Urbana
Quello che dovremmo approfondire, riguardo la vicenda Milano, è l’enorme tema politico che questa vicenda si porta dietro, perché ci costringe a guardare in faccia una realtà molto più complicata rispetto alla narrazione costruita in questi 15 anni. Una realtà che riguarda la democrazia urbana e il diritto alla casa.
Il Miracolo Milanese: A Che Prezzo?
Milano, dall’Expo in poi, si è trasformata. Completamente. Totalmente. Letteralmente. È stata una metropoli in fermento, di eventi, di nuove energie. La narrazione del “miracolo milanese” ha dominato il dibattito pubblico per oltre un decennio: una città che si è saputa reinventare, che ha attirato capitali internazionali, che è diventata il simbolo di un’Italia che funziona. Quante volte abbiamo sentito la frase, per molti aspetti anche a ragione, “l’unica grande città italiana veramente europea”.
Questa trasformazione, però, non è stata gratis. Il prezzo lo hanno pagato i lavoratori, gli studenti, gli anziani. Lo ha pagato chi guadagna poco e ha smesso di permettersi un affitto, in una città dove la crisi abitativa a Milano è ormai strutturale. I quartieri popolari sono stati svuotati, sostituiti da zone “riqualificate” dove però nessuno può più vivere, se non può comprare.
Un esempio concreto di esclusione urbana.
La Geografia dell’Esclusione
Guardiamo i numeri con onestà. Negli ultimi 8 anni, i canoni di affitto sono aumentati in misura uguale nel centro di Milano e in periferia: si parla, infatti, di poco più del 42% nel capoluogo e del +39% nei comuni limitrofi.
È quanto messo in luce dall’ultimo report di Immobiliare.it.
I quartieri “rigenerati” raccontano una storia precisa: appartamenti venduti come investimento a fondi internazionali, spazi pubblici trasformati in centri commerciali a cielo aperto, AirBnB dovunque. Dove prima c’erano comunità, oggi ci sono consumatori. Insomma, dove prima c’erano cittadini, oggi ci sono clienti con portafogli.
Questi dati mostrano con chiarezza come il mercato immobiliare di Milano abbia contribuito ad allargare le disuguaglianze.
Chi Decide lo Sviluppo Urbano?
Il tema, ovviamente, non è solo milanese ma riguarda buona parte di tutte le grandi città occidentali. La politica ha accettato l’idea che il “dinamismo” del mercato immobiliare fosse di per sé un bene, che ogni nuovo grattacielo fosse un segno di progresso, che ogni operazione immobiliare portasse automaticamente benefici alla collettività.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le città diventano sempre più belle per chi la visita, sempre più impossibili per chi ci deve vivere. Così Milano diventa una città che funziona come vetrina internazionale, ma che ha smesso di funzionare come casa per i suoi abitanti.
Il Paradosso della Crescita Escludente
Il paradosso milanese è emblematico di una contraddizione più ampia. Milano cresce economicamente, attrae investimenti, aumenta il PIL, migliora le sue performance sui ranking internazionali. Eppure, contemporaneamente, esclude sempre più persone dal diritto fondamentale all’abitare.
Non è un caso che mentre nascevano i nuovi quartieri del lusso, le liste d’attesa per le case popolari a Milano si allungassero a dismisura. Non è un caso che mentre si moltiplicavano i co-working e gli spazi per la “creatività”, chiudessero i centri sociali e gli spazi di aggregazione gratuiti. Non è un caso che mentre cresceva l’offerta di appartamenti per affitti brevi destinati al turismo, diminuisse drasticamente quella per affitti lunghi destinati ai residenti.
Chi Governa lo Spazio Urbano?
Ma una città non è un business. Non possiamo continuare a costruire quartieri per investitori e lasciare vuoti i diritti. “Una città non è un business. La domanda fondamentale è: chi governa lo spazio urbano? Il denaro o la politica? E, parallelamente, dobbiamo inderogabilmente chiederci: qual è l’incidenza del primo sulle scelte della seconda? Altrimenti non ne usciamo.”
È la questione centrale della democrazia urbana contemporanea. Quando il mercato immobiliare diventa l’unico regolatore dello sviluppo cittadino, quando i prezzi delle case diventano l’unico criterio per decidere chi può vivere dove, stiamo di fatto consegnando la democrazia ai capitali.
Il diritto alla città – concetto elaborato dal sociologo Henri Lefebvre già negli anni Sessanta – diventa allora non un’astrazione teorica, ma una rivendicazione concreta: il diritto di tutti i cittadini a partecipare alla vita urbana, ad abitare gli spazi centrali, ad avere voce nelle decisioni che riguardano il territorio.
Verso una Nuova Visione Pubblica delle Città
Servirebbe una nuova visione pubblica delle città. Serveribbe una legge nazionale sulla casa che riporti urbanistica, edilizia e territorio dentro la sfera della giustizia sociale e della giustizia ambientale.
Questo significa innanzitutto rimettere al centro il ruolo della pianificazione pubblica. Non si tratta di essere contro il mercato o contro lo sviluppo economico. Si tratta di riaffermare che esistono beni comuni – il territorio, lo spazio urbano, il diritto all’abitare – che non possono essere lasciati interamente alle dinamiche del profitto. Senza alcun freno.
Significa ragionare in termini di edilizia residenziale pubblica, non solo per le fasce più deboli ma per la classe media che oggi è esclusa dal mercato. Significa regolamentare il mercato degli affitti, introducendo meccanismi di controllo sui prezzi nelle aree metropolitane. Significa riservare quote significative di ogni nuovo sviluppo immobiliare all’housing sociale.
Democrazia urbana: la Casa Come Diritto, Non Come Merce
Perché la casa è un diritto. E lo spazio in cui viviamo non può essere solo una merce. Questa affermazione, che potrebbe sembrare ovvia, rappresenta invece una rottura radicale con il paradigma dominante degli ultimi decenni.
Riconoscere la casa come diritto significa accettare che lo Stato deve intervenire attivamente per garantire che tutti i cittadini abbiano accesso a un alloggio dignitoso. Significa accettare che il mercato, da solo, non è in grado di soddisfare questo bisogno fondamentale. Significa investire risorse pubbliche significative in una politica abitativa che oggi, in Italia, è praticamente inesistente.
La democrazia urbana oltre gli Slogan: Riconoscere le Contraddizioni
Per cambiare davvero le città, dobbiamo smettere di raccontarle solo con gli slogan. E iniziare a riconoscerle per quello che sono. Anche quando la verità è scomoda e ci pone davanti a problemi politici estremamente complessi, perchè di questo si tratta.
Milano non è solo la capitale economica che attrae talenti internazionali. È anche la città dove un insegnante non può più permettersi di vivere vicino alla scuola in cui insegna. Non è solo la metropoli dei grattacieli scintillanti. È anche la città dove gli anziani vengono espulsi dai quartieri in cui hanno vissuto una vita intera. Dove un giovane alla prima esperienza lavorativa non può vivere da solo e pur condividendo una casa farebbe fatica ad arrivare a fine mese.
Riconoscere queste contraddizioni non significa essere nemici dello sviluppo. Significa voler costruire uno sviluppo più giusto, più inclusivo, più democratico. Significa voler costruire città che siano davvero per tutti i loro abitanti, non solo per chi può permettersele. Guardare al cosidetto modello Vienna, per esempio, può essere una buona idea.
Milano, con le sue contraddizioni, ci offre l’opportunità di guardare in faccia questi problemi e di iniziare a costruire alternative concrete.
L’opportunità di immaginare e costruire città più giuste. Ma solo se avremo il coraggio di andare oltre la cronaca e di affrontare le questioni politiche di fondo. Solo se smetteremo di considerare normale che il diritto all’abitare sia un privilegio di pochi.











