Al Lebowski, dove il calcio è resistenza e sogno

Diez incontra il Centro Storico Lebowski

Il calcio non è solo un gioco. È un atto collettivo di resistenza.

Il Centro Storico Lebowski è nato così, nel 2004, per scelta e per sogno. Un gruppo di amici, stanchi di vedere il calcio ridotto a spettacolo da consumare, ha deciso di cambiare le regole del gioco: creare una squadra dal basso, fuori dalle logiche di profitto, fuori dal calcio business.

Una squadra dove chi ama il pallone non è spettatore, ma protagonista. Una squadra dove ogni decisione è democratica, condivisa, partecipata. Un’idea semplice e allo stesso tempo rivoluzionaria: restituire il calcio a chi lo vive, non a chi lo compra.

Oggi il Lebowski è molto più di una squadra. È una comunità. È una scuola calcio popolare, nata in un giardino pubblico, cresciuta tra fatica, passione e coraggio.
Un luogo dove bambini e bambine possono giocare senza barriere economiche, grazie a prezzi popolari e a un modello educativo che mette al centro la persona prima ancora dell’atleta. Sul campo del Lebowski, la fantasia è ancora un diritto e non un lusso. Lo sport è cultura. È educazione. È un modo per costruire possibilità.

Al Leboski un altro calcio esiste già

Con Diez: l’Atlante dei numeri 10, ho provato a raccontare proprio questo spirito: il calcio come sogno, immaginazione, poesia.

Siamo partiti dai pionieri della fantasia come Johan Cruijff e Paul Gascoigne, abbiamo attraversato le traiettorie magiche di Zico e Juan Román Riquelme, siamo arrivati alle storie africane di Lakhdar Belloumi e Jay-Jay Okocha.
Abbiamo chiuso il cerchio con chi ha fatto del sogno un patrimonio dell’umanità: Roberto Baggio, Pelé e Diego Armando Maradona. In ogni storia, un filo rosso: il calcio non è solo vittoria o sconfitta.
È il diritto di sognare con i piedi, come ci ha insegnato Eduardo Galeano.

Sabato, al Lebowski, abbiamo visto quei sogni camminare sulla terra. Abbiamo respirato un calcio diverso: libero, collettivo, popolare. Abbiamo capito che un altro calcio non solo è possibile: esiste già.

E continua a crescere, ogni volta che qualcuno ha il coraggio di credere che un pallone, calciato con fantasia, possa cambiare il mondo.

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