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  • EcoSportivamente — In dialogo con Marianna Pavan

    EcoSportivamente — In dialogo con Marianna Pavan

    C’è uno sport che corre veloce sui campi, che emoziona con i gol, che accende le piazze. Ma ce n’è un altro – forse meno visibile, ma altrettanto potente – che attraversa scuole, comunità, territori, trasformandosi in un linguaggio universale capace di educare, includere, immaginare. Ed è proprio questo sport che raccontiamo nella nuova puntata di EcoSportivamente, insieme a Marianna Pavan, ricercatrice, formatrice e docente alla Manchester Metropolitan University.

    Con un percorso accademico che unisce Padova, Londra ed Edimburgo, e un’esperienza sul campo maturata tra enti internazionali e progetti locali, ha scelto di lavorare proprio lì dove sport e società si incontrano. Il suo impegno è orientato a rendere lo sport uno strumento di cittadinanza, giustizia e sostenibilità, capace di rispondere alle grandi sfide del nostro tempo.

    Marianna Pavan: lo sport che include, educa e cambia i territori

    In questa puntata, la Professoressa Marianna Pavan ci racconta come sia possibile trasformare il modo in cui pensiamo lo sport, partendo dalle comunità e dai territori. Lo sport, come emerge dai suoi progetti, è capace di promuovere diritti umani e uguaglianza, sostenere iniziative ambientali e sociali, creare connessioni tra culture e generazioni diverse.

    Insomma molto più di una disciplina: è uno strumento politico e culturale, un’occasione per costruire legami, un luogo in cui la cittadinanza può prendere corpo e un linguaggio che può aiutare a immaginare mondi più giusti, più verdi, più inclusivi.

    Marianna ci accompagna in un viaggio che parte dalla sua esperienza sul campo con organizzazioni internazionali, federazioni sportive e realtà educative, fino ad arrivare al cuore del suo pensiero: lo sport come spazio trasformativo. Non è solo il luogo in cui si imparano regole, ma un laboratorio di convivenza. Lo sport è veicolo di apprendimento, cittadinanza e sostenibilità.

    L’approccio dell’Education Through Sport rompe gli schemi tradizionali e mette al centro il corpo, il gioco, il gruppo. L’educazione diventa esperienziale, accessibile, viva.

    Ma lo sport, ci ricorda, non può essere separato dai territori in cui si radica. Le storie locali, i percorsi “dal basso”, le realtà di quartiere sono il terreno più fertile per costruire un cambiamento duraturo. Non bastano grandi eventi o parole altisonanti: servono luoghi vivi, accessibili, partecipati. Luoghi in cui ogni persona – indipendentemente dalla propria condizione – possa sentirsi parte di un gioco comune.

    E allora, che forma avrebbe una città ideale pensata a partire dallo sport? Sicuramente sarebbe un posto dove l’accessibilità è reale, concreta, garantita. Perché lo sport può e deve essere per tutti.

    🎙 Ascolta l’intervista completa sul podcast EcoSportivamente e scopri come lo sport possa essere davvero uno strumento di trasformazione sociale, ambientale ed educativa.

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  • Referendum: perchè partecipare e votare Sì

    Referendum: perchè partecipare e votare Sì

    Cinque quesiti, una sola direzione: dare più potere a chi oggi ne ha meno. È questo il cuore della questione. Ed è per questo che votare SÌ è una scelta che guarda a una società più giusta e più democratica. L’8 e il 9 giugno saremo chiamati a esprimerci su cinque referendum abrogativi che toccano la vita quotidiana di milioni di persone perchè riguardono temi come il lavoro e la cittadinanza.

    Perchè è importante partecipare?

    In un tempo in cui la politica sembra distante, partecipare è l’unico antidoto alla rassegnazione. Scegliere di votare è prima di tutto un gesto di libertà. L’articolo 1 della nostra Costituzione ci dice che la sovranità appartiene al popolo: ma appartiene davvero solo se viene esercitata. Se non partecipiamo, se rinunciamo a dire la nostra, quella sovranità si dissolve. Non scompare dalla Carta, ma evapora dalla realtà. Non si vota per un partito. Non si sceglie un governo. Si vota prima di tutto per far sentire la propria voce.

    SCHEDA VERDEVOTARE SÌ. Licenziamento illeggittimo e contratti a tutele crescenti.

    Di cosa si parla?

    Il referendum propone di abrogare (cioè cancellare) il decreto legislativo n. 23 del 4 marzo 2015, uno dei provvedimenti principali del cosiddetto Jobs Act, introdotto durante il governo Renzi. Questo decreto ha creato una nuova forma di contratto a tempo indeterminato, chiamato “a tutele crescenti”, valido per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi, nelle aziende con più di 15 dipendenti.

    Cosa ha cambiato il Jobs Act?

    Prima del 2015, se un lavoratore veniva licenziato senza una giusta causa o senza giustificato motivo, aveva diritto – in molti casi – a essere reintegrato nel suo posto di lavoro, come previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Con il Jobs Act, invece, il reintegro è diventato un’eccezione. Nella maggior parte dei casi, chi viene licenziato illegittimamente riceve solo un’indennità economica (cioè un risarcimento in denaro), calcolata in base all’anzianità di servizio, ma non torna al lavoro. Questa riforma ha indebolito fortemente le tutele per i lavoratori.

    Cosa chiede il referendum?

    Il referendum chiede di abrogare il decreto del 2015 e di tornare alla disciplina precedente, quella più favorevole al lavoratore. In pratica:

    • In caso di licenziamento illegittimo, il giudice potrà ordinare il reintegro nel posto di lavoro (non solo un risarcimento).
    • Si ristabilisce l’impianto dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, prima della riforma del Jobs Act.
    • Le tutele tornerebbero uguali per tutti i lavoratori a tempo indeterminato, indipendentemente dalla data di assunzione.

    Chi è coinvolto?

    Il quesito riguarda milioni di lavoratori assunti dal 2015 in poi, che oggi non godono delle stesse protezioni di chi è stato assunto prima. Colpiti in particolare:

    • Tutti i lavoratori a tempo indeterminato post-2015;
    • Le aziende con più di 15 dipendenti;
    • Il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, che diventerebbe più equilibrato.

    Perché votare ?

    Votare SÌ sulla scheda verde significa voler ripristinare un diritto fondamentale del lavoratore: quello di essere reintegrato se viene licenziato ingiustamente.

    SCHEDA ARANCIONE – PERCHE’ VOTARE Sì – Tutele contro i licenziamenti nelle piccole imprese

    Di cosa si parla?

    Il quesito riguarda i lavoratori delle piccole aziende, cioè quelle con meno di 16 dipendenti. Oggi questi lavoratori, se licenziati senza una giusta causa o senza giustificato motivo, non possono essere reintegrati e hanno diritto a una indennità economica limitata.

    La legge attuale (nello specifico l’articolo 8 della legge 604/1966) fissa un tetto massimo all’indennità, che non può superare sei mensilità di stipendio, anche nei casi più gravi.

    Cosa propone il referendum?

    Il quesito propone di abrogare questo limite. Se vince il , non ci sarà più un tetto fisso e l’indennità sarà decisa dal giudice, caso per caso, tenendo conto di vari fattori:

    • La gravità dell’ingiustizia del licenziamento;
    • L’età del lavoratore;
    • I suoi carichi familiari;
    • Le condizioni economiche dell’azienda.

    In questo modo, chi viene licenziato ingiustamente in una piccola azienda potrà ricevere un risarcimento più equo e proporzionato al danno subito.

    Perché è importante?

    Oggi esiste una disparità evidente tra lavoratori di grandi aziende e quelli di piccole imprese. Chi lavora in una ditta con meno di 16 dipendenti ha meno diritti, anche quando viene licenziato senza motivo valido. Questo referendum vuole ridurre questa ingiustizia.

    Perché votare ?

    Votare SÌ sulla scheda arancione significa dire che la giustizia e la dignità valgono per tutti, anche nelle piccole aziende. È un passo per rendere il lavoro davvero tutelato, per tutti, e non una condizione di debolezza permanente.

    SCHEDA GRIGIA- PERCHE’ VOTARE Sì – Contro l’abuso dei contratti a tempo determinato

    Di cosa si tratta?

    Il quesito propone di abrogare una parte del Jobs Act che consente alle aziende di assumere lavoratori a tempo determinato per un massimo di 12 mesi senza dover indicare alcun motivo. In altre parole, oggi un’azienda può usare il contratto a termine anche se non c’è alcuna necessità reale, senza darne conto a nessuno, nemmeno davanti a un giudice.

    Questa flessibilità totale ha creato un uso esteso e spesso abusivo del lavoro precario: secondo la CGIL, oltre 2 milioni di lavoratori sono coinvolti.

    Cosa cambierebbe se vince il ?

    Votando SÌ si reintroduce l’obbligo della causale: cioè, un datore di lavoro dovrà giustificare per iscritto perché sta usando un contratto a termine e non uno stabile (a tempo indeterminato).

    Le “causali” ammesse potrebbero essere, ad esempio:

    • picchi di produzione stagionali;
    • sostituzioni temporanee;
    • attività eccezionali o sperimentali.

    Se l’azienda non ha un motivo valido, non potrà utilizzare un contratto a tempo determinato. E il giudice potrà valutarne la legittimità.

    Perché è importante?

    Il lavoro a termine dovrebbe servire per situazioni eccezionali, non per coprire posti di lavoro stabili con lavoratori precari, ricattabili e privi di diritti. Eliminando la causale, il Jobs Act ha aperto la porta a un uso sistematico e indiscriminato di questi contratti.

    Votare SÌ significa ridare dignità e stabilità al lavoro.

    Perché votare

    Votare SÌ sulla scheda grigia significa dire basta alla precarietà senza regole. È una scelta per un lavoro più giusto, stabile, dignitoso.

    SCHEDA MAGENTA – PERCHE’ VOTARE Sì – Più responsabilità per chi appalta. Più tutela per i lavoratori.

    Di cosa si tratta?

    Questo quesito chiede di rafforzare le tutele per i lavoratori in caso di infortuni o malattie professionali, aumentando la responsabilità dell’imprenditore che affida un appalto (cioè il committente).

    Oggi la legge dice che il committente è responsabile solo in certi casi, e può sottrarsi alla responsabilità se l’infortunio deriva da un rischio tipico dell’attività dell’appaltatore o del subappaltatore.

    Questa eccezione è un modo per scaricare le colpe e sfuggire alla responsabilità civile in molti incidenti sul lavoro.

    Cosa cambierebbe se vince il ?

    Votando SÌ si cancella l’esclusione di responsabilità per i rischi tipici dell’appaltatore, rendendo il committente sempre corresponsabile, insieme all’appaltatore e ai subappaltatori, nei casi di infortuni o malattie professionali in assenza di copertura assicurativa (INAIL o IPSEMA).

    In pratica:

    • L’imprenditore che affida i lavori non potrà più lavarsene le mani.
    • Avrà interesse a controllare davvero che sicurezza e tutele siano rispettate lungo tutta la catena degli appalti.
    • I lavoratori non resteranno più soli nel chiedere giustizia.

    Perché è importante?

    Troppi incidenti sul lavoro avvengono in condizioni precarie, soprattutto negli appalti e subappalti, dove la sicurezza viene spesso sacrificata per il risparmio.

    Dare una responsabilità diretta anche al committente significa mettere pressione su chi prende decisioni e prevenire gli incidenti prima che avvengano.

    Chi ha il potere economico non può essere anche quello che sfugge più facilmente alle responsabilità.

    Perché votare ?

    📌 Votare SÌ sulla scheda viola significa stare dalla parte della vita, della giustizia, della responsabilità. Una democrazia che si rispetti non può tollerare che il profitto venga prima della sicurezza sul lavoro.

    SCHEDA GIALLA – PERCHE’ VOTARE Sì – Cittadinanza dopo 5 anni: più diritti, più dignità, più Italia.

    Di cosa si tratta?

    Il referendum propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale continuativa in Italia necessario per poter richiedere la cittadinanza italiana. Oggi, anche se la legge parla di 10 anni, la realtà è che tra burocrazia e attese si arriva spesso a 13 anni o più prima di diventare cittadini a tutti gli effetti. Il referendum vuole correggere questa ingiustizia.

    Cosa cambierebbe se vince il ?

    • Dopo 5 anni di vita regolare in Italia, una persona potrà presentare la domanda di cittadinanza;
    • Non cambia nulla sugli altri requisiti (conoscenza della lingua, reddito stabile, assenza di reati);
    • La cittadinanza ottenuta potrà essere trasmessa ai figli minorenni.

    Chi riguarda?

    • Oltre 2 milioni di persone, molte delle quali vivono, lavorano e pagano le tasse in Italia da anni;
    • Giovani che sono cresciuti qui, che parlano italiano e si sentono italiani, ma che oggi vivono da stranieri in casa propria;
    • Famiglie che da troppo tempo aspettano riconoscimento e pari diritti.

    Perché è importante?

    • Perché cittadinanza è appartenenza, non concessione;
    • Perché chi vive qui stabilmente, rispetta le regole, contribuisce alla società, deve poter avere voce;
    • Perché inclusione è sicurezza, è democrazia, è coesione sociale;
    • Perché troppe persone vivono in una zona grigia di diritti negati, pur essendo pienamente parte della nostra comunità.

    Perché votare ?

    📌 Votare SÌ sulla scheda grigia significa dire che chi vive qui, lavora qui, cresce qui, è parte dell’Italia. E ha diritto di essere riconosciuto come tale. Una democrazia non può restare cieca davanti a milioni di vite invisibili.

    LINK UTILI

    https://www.ilpost.it/2025/05/05/guida-referendum-8-9-giugno/

    https://partitodemocratico.it/8-e-9-giugno-5-si-ai-referendum-su-lavoro-e-cittadinanza

    https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/i-cinque-referendum-di-fronte-a-noi-ragioni-per-votare-si

  • Mujica ci ha insegnato che vivere è più importante che possedere

    Mujica ci ha insegnato che vivere è più importante che possedere

    È con profonda tristezza che il mondo dice addio a José “Pepe” Mujica, l’ex presidente dell’Uruguay che ha lasciato un’impronta indelebile non solo nella storia del suo paese, ma nella coscienza collettiva globale. Un uomo che ha trasformato la semplicità in una rivoluzione e la sua vita in un potente messaggio per l’umanità.

    Uno dei pochi politici capaci di incarnare fino in fondo una filosofia di vita radicata nella coerenza, nella sobrietà, nella libertà.

    Jose “Pepe” Mujica: Il rivoluzionario diventato statista

    Il percorso di Mujica è stato straordinario quanto improbabile. Da guerrigliero Tupamaro a prigioniero politico fino a diventare presidente di quella stessa nazione che lo aveva imprigionato. Ma ciò che lo ha reso davvero unico è stato il rifiuto di trasformarsi in ciò contro cui aveva combattuto.

    Durante la sua presidenza (2010-2015), mentre altri leader mondiali vivevano nei palazzi del potere, Mujica continuava ad abitare nella sua modesta fattoria alla periferia di Montevideo, guidava una vecchia Volkswagen Maggiolino e donava il 90% del suo stipendio presidenziale. Non era una strategia di comunicazione, ma l’autentica espressione di una filosofia di vita che ha definito “l’austerità che libera”. Quando parlava, ogni parola sembrava un seme lanciato nella terra dell’umanità, nella speranza che qualcosa – un pensiero, un dubbio, una ribellione – potesse germogliare.

    La rivoluzione della sobrietà

    “La mia forma mentis è quella di un contadino vecchio stile”, amava ripetere. Eppure, da questo apparente anacronismo, Mujica ha estratto una saggezza profondamente attuale. In un mondo ossessionato dal consumo compulsivo, la sua voce roca ricordava che “essere poveri non è avere poco, ma desiderare infinitamente di più”.

    La sua critica al modello di sviluppo globale non era ideologica ma esistenziale: “Abbiamo inventato un modello di civilizzazione dove stiamo sacrificando la vita al consumo. La vera libertà non è possedere, ma avere tempo.

    Vi pongo una domanda: cos’è la libertà? La mia definizione casereccia, da vecchio, è la seguente: sono libero quando spendo il tempo della mia vita in ciò che mi piace. Per uno sarà una cosa, per un altro un’altra, ma finché dovrò lottare per i bisogni materiali, per sostenere la mia vita, non sarò libero, sarò sottomesso alla legge della necessità.

    Quando faccio con il tempo della mia vita quel che mi piace – dormire sotto un albero, giocare a calcio, leggere un romanzo o ascoltare un concerto, è un fatto personale – allora sono me stesso, mentre non lo sono quando resto sottomesso alla legge della necessità. Pertanto posso aumentare la mia libertà avendo maggior quantità di tempo, così da spendere parte della mia vita nelle cose che mi motivano. Se dunque lasciamo astratto il concetto di libertà, non riusciamo a trasmettere la battaglia personale che tutto questo implica.

    Credo che gli esseri umani, essendo animali sociali, debbano lavorare e dare un apporto alla società in cui ci è toccato vivere, altrimenti sarebbero parassiti. La nostra vita, però, non è stata fatta solo per lavorare, è stata fatta per vivere, cosa per cui è necessario avere tempo da impegnare in quello che c’è di fondamentale: tempo per gli amici, tempo per l’amore, tempo per l’avventura. Perché? Perché l’orologio della vita scorre e il tempo scivola via.

    Credo che possiamo guarire la nostra civiltà solo cercando di dare risposta a tali questioni. Non chiediamoci al mercato di risolverle, non è stato fatto per questo. È piuttosto una questione d’organizzazione umana e, come tale, un tema per la politica più alta.

    Durante il suo mandato ha promosso politiche progressiste che hanno fatto dell’Uruguay un laboratorio di diritti civili: dalla legalizzazione della marijuana alla regolamentazione dell’aborto e del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ma il suo vero contributo è stato molto più profondo: ha dimostrato che si può governare senza rinunciare all’umanità, ai propri valori e alla propria autenticità.

    Il Presidente Mujica: le politiche e la visione

    Nel panorama politico contemporaneo, dominato da tecnocrati distanti dalla realtà quotidiana o da populisti che sfruttano le paure collettive, Mujica ha rappresentato una terza via: quella dell’autenticità. “Il potere è come bere da un bicchiere d’acqua. Se è troppo grande, ti cade dalle mani”, ammoniva.

    La sua presidenza ha dimostrato concretamente che un’altra politica è possibile – una politica che non si fonda sulla manipolazione ma sul dialogo sincero, non sulla contrapposizione ma sulla ricerca del bene comune. Mujica ha trasformato la vulnerabilità in forza, ammettendo pubblicamente i propri errori e limiti: “Non sono un messia, sono pieno di difetti, come tutti”.

    In un’epoca in cui i politici tendono a presentarsi come esseri infallibili, la sua onestà intellettuale rappresentava una ventata d’aria fresca. Non offriva soluzioni miracolose, ma invitava a una riflessione collettiva: “Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso pensiero che li ha creati”.

    Il suo approccio alla politica rifiutava la logica del “noi contro loro” per abbracciare una visione inclusiva: “Non odio i ricchi, ma mi domando fino a quando continueremo ad accumulare a spese degli altri”. In un mondo polarizzato, la sua capacità di dialogare con tutti senza compromettere i propri principi resta un esempio raro e prezioso.

    Un uomo del suo tempo e oltre il suo tempo

    Guardando alla sua vita straordinaria, ciò che colpisce di più è come un uomo nato in una famiglia di contadini poveri, che ha attraversato alcune delle pagine più buie della storia latinoamericana, sia riuscito a emergere non con risentimento ma con saggezza, non con sete di vendetta ma con un messaggio di moderazione e umanità.

    In un’epoca di politica polarizzata, di discorsi infuocati e di promesse grandiose, Mujica ha ricordato il valore della semplicità, dell’onestà e della coerenza. Ha dimostrato che si può essere rivoluzionari senza violenza, radicali senza estremismo, e che la più grande forma di leadership è quella che riconosce la propria comune umanità.

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  • La portata universale di Papa Francesco

    La portata universale di Papa Francesco

    Perché è stato così importante Papa Francesco? L’eredità sociale, culturale e morale del pontefice venuto “dalla fine del mondo”

    Papa Francesco lascia un segno indelebile nel terzo millennio dell’umanità. È stato un pontefice capace di parlare al mondo intero, credenti e non, incarnando valori universali come la giustizia, la solidarietà e la cura del creato. Perché Papa Francesco è stato così importante? Non solo per il suo ruolo spirituale, ma per la sua influenza etica e sociale, che ha travalicato i confini del Vaticano.

    Il difensore dei migranti in un’epoca di muri

    In un periodo storico segnato dall’innalzamento di barriere fisiche e ideologiche, Francesco ha costantemente richiamato l’attenzione sulla “globalizzazione dell’indifferenza”. La sua visita a Lampedusa nel 2013, primo viaggio ufficiale del suo pontificato, ha segnato simbolicamente l’inizio di un impegno instancabile. “Chi piange per queste persone morte nel tentativo di migliorare le proprie condizioni?”, chiedeva allora, ponendo una domanda scomoda ai leader politici europei e mondiali.

    Non si è limitato alla denuncia: il suo appello “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” è diventato un punto di riferimento per organizzazioni umanitarie e istituzioni. Ha criticato apertamente le politiche migratorie restrittive, sfidando le posizioni di governi e partiti populisti, e trasformando la questione dei migranti da problema di sicurezza nazionale a imperativo morale universale.

    La voce dell’ecologia integrale

    Con l’enciclica “Laudato Si’” del 2015, Papa Francesco ha compiuto un passo storico: il primo documento papale interamente dedicato alle questioni ambientali. La sua “ecologia integrale” ha collegato in modo innovativo la crisi climatica alle disuguaglianze sociali, offrendo una critica sistemica dell’attuale modello economico.

    Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”, scriveva, anticipando dibattiti che sarebbero diventati centrali negli anni successivi. Questo approccio ha influenzato accordi internazionali sul clima e ispirato movimenti ambientalisti globali. La sua visione ha saputo parlare tanto ai leader mondiali quanto alle giovani generazioni impegnate nell’attivismo climatico.

    La lotta intransigente contro le mafie

    “Non si può credere in Dio ed essere mafiosi”, ha dichiarato Francesco con fermezza davanti alla tomba di don Pino Puglisi. Il suo impegno contro la criminalità organizzata è stato caratterizzato da gesti simbolici potenti e da parole inequivocabili. La scomunica pronunciata durante la visita in Calabria nel 2014 ha rappresentato una svolta storica nel rapporto tra Chiesa e mafie.

    Francesco ha denunciato non solo la violenza mafiosa, ma anche la “cultura mafiosa” fondata sulla corruzione e sul clientelismo. Ha sostenuto attivamente chi combatte le organizzazioni criminali, visitando territori difficili e incontrando familiari delle vittime, trasformando così la lotta alle mafie in una battaglia culturale e morale che travalica i confini dell’Italia.

    Lo sport come strumento di inclusione

    Meno noto ma significativo è stato il suo approccio allo sport, visto non come competizione ma come strumento di pace e inclusione sociale. Ha promosso iniziative come “Scholas Occurrentes” e incontri interreligiosi attraverso eventi sportivi, sottolineando come l’attività fisica possa superare barriere culturali, economiche e religiose.

    “Lo sport è una scuola di pace, ci insegna a costruire la pace”, ha ripetuto in diverse occasioni, promuovendo i valori della lealtà e del rispetto reciproco in un’epoca segnata da crescenti tensioni sociali e internazionali.

    E’ stato, inoltre, il papa Tifoso come ci ha ricordato Fabrizio Gabrielli su Ultimo Uomo.

    ” Forse proprio perché, ricco della sua forma mentis argentina, Bergoglio sente – ha sempre sentito – la tentazione di spiegare il mondo attraverso paradigmi calcistici. Di portare la religione fuori dalla religione, nei potreros della vita, tra i diseredati, tra i meno felici, tra quelli ai quali basta un pallone, o un pezzo d’ostia, da farsi bastare per essere un po’ meno tristi, un po’ meno soli. Ha identificato nel pallone un tramite. Un legame ”

    L’ultimo messaggio di Speranza

    Sono vicino alle sofferenze dei cristiani in Palestina e in Israele, così come a tutto il popolo israeliano e a tutto il popolo palestinese. Preoccupa il crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo in tutto il mondo. In pari tempo, il mio pensiero va alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria. Faccio appello alle parti belligeranti: cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace!». E sul tema immigrazione ha aggiunto: «Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti!».

    Papa Francesco: un’eredità che supera i confini religiosi

    Il “Papa venuto dalla fine del mondo” ha saputo incarnare un nuovo modello di leadership globale: umile nei gesti, diretto nel linguaggio, intransigente sui principi ma aperto al dialogo con tutti. La sua capacità di parlare ai non credenti, di affrontare temi controversi e di richiamare le istituzioni alle proprie responsabilità ha ridefinito il ruolo del papato nel XXI secolo.

    L’eredità di Francesco va ben oltre il recinto ecclesiastico: ha offerto una visione alternativa di società fondata sulla solidarietà, sulla sostenibilità e sulla dignità umana. In un’epoca di crescente polarizzazione, ha rappresentato una voce che ha saputo unire rigore morale e compassione, tradizione e innovazione, principi non negoziabili e pragmatismo.

    La sua scomparsa lascia un vuoto ma per tutti coloro che hanno visto in lui un riferimento etico in tempi complessi.

  • Il Calcio a scuola: quando lo sport accende la curiosità

    Il Calcio a scuola: quando lo sport accende la curiosità

    Il calcio a scuola: L’Atlante dei numeri 10 presso l’I.I.S Cesare Baronio di Sora

    Che sarebbe stata una mattinata speciale, l’ho capito appena varcato l’ingresso dell’istituto. Davanti a me, un’onda colorata di magliette da calcio. Una giornata di calcio a scuola.
    I ragazzi e le ragazze mi hanno accolto con entusiasmo contagioso, occhi accesi dalla curiosità, animi carichi di energia. In quel momento ho capito che non avremmo solo parlato di calcio, ma che avremmo vissuto insieme una piccola avventura emotiva e culturale.

    L’accoglienza in auditorium è stata sorprendente: un’atmosfera vibrante, quasi da Bombonera, tra applausi e sorrisi.
    La moderazione della prof.ssa Capobianco è stata appassionata e coinvolgente: pur non essendo un’esperta di calcio, si è lasciata trasportare – e in parte rapire – dalle storie dei Diez, i numeri 10 che hanno fatto la storia di questo sport.

    Un viaggio tra diez, storia e valori

    Abbiamo esplorato il cuore del progetto: il talento e la disciplina, la poesia e la lotta, le contraddizioni e la bellezza di chi porta il numero 10 sulle spalle.

    Ci siamo immersi nella grazia e nella ferocia di Zinedine Zidane, nella spiritualità silenziosa di Roberto Baggio, capace di convivere con il dolore e di sublimarlo. Abbiamo riflettuto sul tormento e il genio di Paul Gascoigne, sulle sue fragilità celate dietro l’immagine del campione. E poi ancora, la determinazione zen di Hidetoshi Nakata, capace di trasformare ogni partita in una forma di meditazione.

    Non è mancata una riflessione più ampia sul tifo: sul suo potere unificante, ma anche sul rischio di derive violente e sul vuoto che, a volte, riempie con disvalori la solitudine di chi cerca appartenenza.

    Oltre ai video e ai contenuti multimediali – realizzati in modo impeccabile – sono state le domande a rendere l’incontro davvero speciale. Tantissimi interventi, osservazioni acute, curiosità profonde. Due ore non sono bastate. I ragazzi, veri numeri 10, avrebbero continuato fino al tramonto.

    Sono tornato a casa con un’ondata di energia positiva e con la gratitudine di aver acceso una scintilla, di aver condiviso non solo storie di calcio, ma anche valori, emozioni, visioni di vita.

    Un grazie sentito per l’accoglienza calorosa, l’entusiasmo e la splendida opportunità di confronto.
    Nota finale, ci siamo salutati sulle note di “Live is Life”: e forse, davvero, la vita è questo. Un gioco, un racconto, una partita da giocare insieme. Il calcio a scuola è davvero un bel esperimento perchè è un altro modo di raccontare il mondo.

    Buon vento, campioni.

    Le Foto dell’iniziativa

    Il reel dell’iniziativa

  • Plastic Free Ride: Pedalare per un mondo più pulito

    Plastic Free Ride: Pedalare per un mondo più pulito

    Sport, Ambiente e Sosteniblità: l’intervista podcast di EcoSportivamente a Plastic Free Ride

    Il suono delle ruote sull’asfalto e il vento in faccia rappresentano uno dei ricordi più piacevoli delle estati adolescenziali.  Momenti e attimi di libertà. Nella storia raccontata nell’intervista di EcoSportivamente, però, c’è un dettaglio che rompe il quadro: sacchetti di plastica intrappolati nei cespugli, bottiglie abbandonate sul ciglio della strada, lattine accartocciate sul sentiero sterrato.

    È proprio da questa immagine che nasce Plastic Free Ride, un’idea semplice e rivoluzionaria allo stesso tempo: pedalare per ripulire il mondo dai rifiuti. A trasformare questa visione in realtà sono Raffaele Fanini e Sara Mazzarella, due ciclisti con una missione chiara: lasciare i percorsi che attraversano meglio di come li hanno trovati.

    Dal 2019, in sella alle loro biciclette con guanti, pinze e un carrello al seguito, percorrono chilometri raccogliendo plastica, vetro e altri scarti abbandonati. Ma non si fermano qui. Il loro obiettivo è più grande: ispirare altri a fare lo stesso, dimostrare che piccoli gesti possono generare un cambiamento concreto. E così, lungo la strada, il loro esempio coinvolge sempre più persone, trasformando semplici pedalate in veri e propri eventi di pulizia collettiva.

    Ad oggi, Plastic Free Ride ha percorso migliaia di chilometri e raccolto una quantità impressionante di rifiuti. Un viaggio che è anche un messaggio: ognuno di noi può fare la differenza. E ora, questa storia di passione, impegno e amore per l’ambiente diventa la protagonista della prima puntata del podcast EcoSportivamente.

    Una chiacchierata che si muove dai paesaggi del Kirgikistan e dei racconti di un agricoltore che racconta loro gli effetti dei cambiamenti climatici alle spiagge di Santa Maria di Leuca, dalla stanchezza “positiva” di una giornata di attività fisica alla rabbia di continuare a vedere percorsi ripuliti di nuovo sporchi, gli inseguimenti dei cani della Corsica o l’abbaglio dei una signora che li ha scambiati per netturbini del Comune.

    Progetti per il futuro? Il più nobile, ispirare gli altri a fare lo stesso.

    Se vuoi scoprire come un’idea nata su due ruote possa trasformarsi in un movimento di cambiamento, non perderti questo episodio. Preparati a lasciarti ispirare, perché il viaggio verso un mondo più pulito inizia sempre da un primo passo… o da una prima pedalata.

    ASCOLTA LA LORO STORIA

  • EcoSportivamente: al via la quinta stagione del podcast

    EcoSportivamente: al via la quinta stagione del podcast

    Il viaggio di EcoSportivamente continua! Eccoci all’inizio della quinta stagione del podcast che esplora il legame tra sport, sostenibilità e società. Un percorso nato cinque anni fa con un obiettivo ambizioso: indagare il ruolo dello sport come motore di cambiamento per un futuro più sostenibile.

    Sostenibilità: oltre la parola di moda

    Negli ultimi anni, il concetto di sostenibilità è diventato onnipresente, ma spesso svuotato di significato e ridotto a uno slogan. Tuttavia, la realtà ci impone di affrontare questa sfida con serietà: il cambiamento climatico è una crisi concreta, con fenomeni estremi sempre più frequenti e impatti devastanti su ambiente e società. A questo si aggiunge una fase di incertezza politica, con posizioni che rallentano la transizione ecologica e rimandano azioni necessarie.

    Il ruolo dello sport nel cambiamento

    Lo sport, con la sua forza aggregativa, non è estraneo a questa trasformazione. Se da un lato grandi eventi e infrastrutture sportive hanno un impatto significativo sul pianeta, dall’altro il settore sta mostrando segnali di rinnovamento. Sempre più federazioni, club e atleti stanno adottando soluzioni concrete per ridurre la propria impronta ecologica e promuovere un modello di sviluppo più responsabile.

    Uno sguardo alle nuove generazioni

    Un elemento chiave è il contributo delle giovani generazioni. Atleti, tifosi e organizzatori di eventi stanno dimostrando una crescente consapevolezza ambientale e sociale. La sostenibilità non si limita alla tutela dell’ambiente, ma si estende anche all’inclusione, all’uguaglianza e alla costruzione di una società più equa. Lo sport può essere uno strumento potente per abbattere le barriere e promuovere valori di giustizia e solidarietà.

    EcoSportivamente: cosa aspettarsi dalla quinta stagione?

    Questa nuova edizione di EcoSportivamente sarà ricca di approfondimenti, interviste e storie ispiratrici. Parleremo con esperti, atleti, ricercatori e dirigenti sportivi per raccontare le sfide e le opportunità di uno sport più sostenibile. Le puntate verranno pubblicate con cadenza fissa, il 30 di ogni mese, in coppie di due. Inoltre, accanto alle consuete interviste, ci saranno anche riflessioni e racconti dedicati a temi specifici.

    Lo sport del futuro sarà sostenibile – Le idee di EcoSportivamente

    Il nostro impegno continua: vogliamo offrire uno spazio di dialogo e consapevolezza, nella convinzione che il futuro dello sport dipenda dalla sua capacità di evolversi nel rispetto del pianeta e delle persone. Vi invito a seguirmi in questa nuova stagione di EcoSportivamente: il cambiamento è possibile, e lo sport può esserne il motore.

    Seguiteci e scoprite insieme a noi come rendere lo sport un alleato della sostenibilità!

    Qui, la puntata introduttiva della nuova stagione

  • Ventotene oggi

    Ventotene oggi

    La becera sceneggiata della Presidente Giorgia Meloni ha svelato, con brutale evidenza, il volto attuale della destra italiana: un volto che si dimostra ontologicamente estraneo all’eredità del Manifesto di Ventotene e al progetto europeo che da quel documento ha tratto origine.

    L’episodio ha rappresentato più di un semplice momento politico: è stata una cartina di tornasole che ha definitivamente dissolto, se ce ne fosse ancora bisogno, l’illusione di una destra “europea” e moderata. Un’operazione mediatica, pensata per coprire il momento di difficoltà della coalizione di Governo, che, nei fatti, ha ribadito l’approccio nazionalistico e frammentario che Spinelli e Rossi avevano lucidamente prefigurato e combattuto.

    Un’eredità sotto attacco

    Ventotene, oltre ad essere una splendida e selvaggia isola, è il luogo dove Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni scrissero il celebre “Manifesto di Ventotene” nel 1941, delineando una visione di un’Europa federale e democratica, capace di superare i nazionalismi che avevano portato alla guerra.

    Ventotene oggi: come attualizzare un patrimonio di idee?

    L’idea di futuro delineata nel Manifesto di Ventotene è oggi messa alla prova non solo dalle tensioni internazionali e dall’ascesa dei populismi, ma anche da una retorica politica che tende a svuotarla del suo significato originale.

    Come spesso accade in Italia, il dibattito generato dall’evento conferma un paradosso ricorrente nella nostra cultura politica: la tendenza a trasformare documenti fondativi – che si tratti del Manifesto di Ventotene o della Costituzione – in semplici icone retoriche, prive del loro potenziale trasformativo.

    Ma il Manifesto di Ventotene non è un feticcio da commemorare. È un progetto politico da riattualizzare costantemente. Il rischio, altrimenti, è la sua banalizzazione.

    Un’Europa all’altezza delle sfide

    L’Europa immaginata da Altiero Spinelli e dai suoi compagni era un’Europa unita e federale. Oggi, questo significa rafforzare i poteri del Parlamento europeo e superare il diritto di veto nel Consiglio dell’UE, per costruire un’Unione più democratica, capace di rispondere alle crisi con rapidità ed efficacia.

    Serve inoltre un pilastro sociale europeo vincolante, con salari minimi, welfare comune e una protezione reale per i lavoratori. Senza giustizia sociale, non può esserci un’Europa davvero coesa.

    Una politica estera e di difesa comune

    Non esiste un futuro europeo senza una politica estera e di difesa comune. Ma questo non significa costruire eserciti più grandi. Piuttosto, serve un vero Esercito Europeo e, soprattutto, una capacità diplomatica autonoma, capace di prevenire conflitti e gestire le crisi globali con cooperazione e mediazione.

    Un sistema di accoglienza europeo

    Non si può invocare l’unità europea senza affrontare una delle sue più grandi contraddizioni: l’assenza di un Sistema di Accoglienza Europeo. È necessario un meccanismo comune per la gestione delle domande d’asilo, vie legali per i migranti economici e un piano di investimenti nei Paesi di origine per affrontare le cause profonde delle migrazioni.

    Ventotene, faro del Mediterraneo

    L’isola di Ventotene può diventare un faro nel Mediterraneo, ospitando un istituto permanente di formazione per giovani attivisti, amministratori e ricercatori impegnati a costruire il futuro dell’Europa. Un’accademia aperta agli studenti di tutta l’UE, in cui studiare politiche ambientali, governance democratica e strategie contro le disuguaglianze, con un’attenzione speciale al Mediterraneo e al suo ruolo nel mondo.

    Attualizzare il Manifesto di Ventotene significa difenderne la visione e rilanciarne la portata rivoluzionaria. Perché un’Europa più unita, giusta e democratica non è un’utopia, ma una necessità.

  • Welfare europeo e difesa comune come responsabilità

    Welfare europeo e difesa comune come responsabilità

    L’inizio di una riconnessione sociale

    In Moby Dick, il capitano Achab insegue ossessivamente la balena bianca, convinto che solo distruggendola potrà dare un senso alla sua esistenza. Ma quella balena è anche il simbolo di un’ossessione che gli impedisce di vedere la realtà con lucidità. Nella politica, come nella vita, chi si ostina a vedere il mondo in bianco e nero, senza cogliere le sfumature e le differenze, rischia di naufragare come la Pequod. E’ una metafora poltica potentissima se guardiamo a quello che è successo negli ultimi 30 anni.

    In questi quasi due anni di segreteria Schlein, molti commentatori hanno volutamente minimizzato l’impatto del cambiamento in atto. Altri, soprattutto tra i duri e puri, si sono limitati a ripetere il più classico voglio di più, senza riflettere sul fatto che il cambiamento, soprattutto in un Partico come quello Democratico, non è mai immediato né lineare. È il risultato di scelte, scontri e compromessi, con l’obiettivo di mantenere unitarietà e visione.

    Troppo facile dire che non cambia mai nulla. Troppo facile lamentarsi di un cambiamento insufficiente se poi non si contribuisce a spingerlo avanti. In politica, come nella società, il cambiamento richiede tempo, coraggio e capacità di gestire la complessità. Comprendere le differenze e saperle valorizzare è la vera sfida per chi vuole costruire un’alternativa credibile e progressista.

    Gli elettori, spesso più lucidi di molti analisti, hanno riconosciuto questo processo di rinnovamento. Lo hanno premiato, facendo crescere il PD nel 2024 e riportandolo sopra il 20%. Certo, non ci si può accontentare, ma è un primo passo significativo. Il percorso è iniziato, ma non ancora completato, e va perseguito con determinazione. Ricostruire un’identità profonda per il Partito Democratico richiederà anni, non mesi. Non esistono scorciatoie: l’unica strada è un lavoro costante per riportare il Partito nei territori e, al tempo stesso, riportare i territori dentro il Partito.

    Welfare europeo e difesa comune

    Il momento storico che stiamo vivendo è di estrema complessità, in particolare in Europa. La posizione espressa dalla Segretaria è coraggiosa: riconoscere che la sicurezza comune è un tema fondamentale, ma non può essere perseguita a scapito del welfare state. Un concetto semplice, quasi ovvio, eppure diventato un boomerang nella politica italiana ed europea degli ultimi 15 anni, persino nei partiti socialdemocratici. In due parole: welfare europeo e difesa comune come una responsabilità verso il futuro.

    Poiché la politica si fa con l’intelligenza degli avvenimenti, comprendere il contesto in cui ci si muove è essenziale. E proprio per questo appare inspiegabile che, davanti a una maggioranza di governo divisa, un gruppo di europarlamentari del PD, incluso il Presidente, abbia votato contro l’indicazione della Segretaria.

    Coltivare il dubbio su questo piano di riarmo non significa abbandonare l’Ucraina, né essere subordinati al Movimento Cinque Stelle. Significa invece riaffermare un’idea di Unione Europea come comunità di popoli e persone, basata sulla coesione e sul welfare state. Proprio questi strumenti sono in grado di sottrarre carburante ai nazionalismi. Non si tratta di ingenuità o di parlare di pace senza praticarla, ma di lavorare concretamente per un’Europa con una difesa comune e una visione condivisa. Non può essere accettabile l’allentamento dei vincoli di bilancio europei solamente per spese riguardanti la difesa.

    Sacrificare temi così cruciali per mere dinamiche interne o, peggio ancora, per strategie di logoramento sarebbe non solo miope, ma imperdonabile.

  • Diez: la presentazione di Empoli

    Diez: la presentazione di Empoli

    Diez: l’ Atlante dei numeri 10 – Empoli – Stagione 2. Episodio 3

    Empoli é una città di calcio e di provincia. La sua biblioteca è una vera e propria officina di cultura.

    Lo stadio della città é dedicato a Carlo Castellani, un ragazzo di 35 anni morto a Mathausen. Empoli, tra l’altro, é stata una città di tanti numeri 10 tra cui Totò Di Natale. 

    Con queste premesse la presentazione di Diez, guidata dall’ Assessora allo Sport del Comune, Laura Mannucci é stata volutamente territoriale.

    Ad una quarantina di kilometri dalla biblioteca Renato Fucini, però, hanno immaginato e creato calcio, Roberto Baggio e Manuel Rui Costa, in una staffetta di rara eleganza. Due grandi protagonisti dell’Atlante dei numeri 10.

    Roberto, fantasista per eccellenza, poetico. Un’ artista del rinascimento fiorentino. Soffriva, a causa delle sue ginocchia, giocando a calcio e nel regalare gioia alle persone. Bellezza e dolore in una dualità unica e struggente.

    Manuel, invece, nobilita l’ essenziale. Un giocatore che vive in simbiosi con Lisbona e Firenze. Euclideo ma raffinato. Gioca con la testa alta come Antognoni che lo ha portato a Firenze. Uno guardava le stelle. L’ altro alzava lo sguardo come fosse davanti un esploratore davanti all’Oceano. 

    Parlando di calcio e territorio ovviamente non si poteva evitare un passaggio sud americano: Maracanazo, Pelé, Zico; Maradona, Boca, Riquelme.

    Commovente, come sempre, l’ omaggio della sala a Fabio, il numero 10 della nostra provincia .

    Una presentazione passata velocemente. Un salto continuo tra le cose davvero importanti e la più importante tra quelle meno importanti, il Fútbol.

    Per Acquistare una copia del libro potete cliccare qui o qui.

    Alcune foto dell’iniziativa.