Trump, la politica e noi


È cambiato tanto, quasi tutto, dalla prima elezione di Donald Trump a oggi. Quella prima vittoria venne liquidata come un “voto di protesta”, un’espressione di malcontento episodico e imprevedibile. Oggi non è più così. Quel voto, ormai, è parte integrante di un disegno complessivo che abbraccia politica e società. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca non è un imprevisto figlio del caso, ma il risultato di un’ideologia – perché di questo si tratta – che si è imposta con il sostegno, diretto e indiretto, dei colossi tecnologici e di grandi gruppi di potere economico.

L’illusione della “rivoluzione democratica”


La retorica che accompagna il ritorno di Trump e l’evoluzione del “voto di protesta” tende a mascherare una realtà cruciale: quella in corso non è un processo dal basso, ma una trasformazione in cui il potere decisionale si concentra in mani sempre più ristrette. In questo scenario, la democrazia, invece di essere ampliata, rischia di essere svuotata dei suoi principi fondamentali. Per questo, ad esempio, dopo la vittoria del tycoon, Zuckerberg è subito salito sul carro delle politiche del vincitore, partecipando al pranzo di gala per difendere il suo impero economico. Dietro alla facciata di un movimento popolare, dunque, il processo decisionale è sempre più centralizzato e ristretto, influenzato da attori privilegiati: politici populisti, grandi multinazionali tecnologiche e media che veicolano narrazioni polarizzanti. Parimenti, la costante delegittimazione del “sistema corrotto” – utilizzata come leva politica – mina la fiducia pubblica nelle istituzioni, rendendole sempre meno capaci di operare come garanti della democrazia.

Si fa presto a dire libertàL’idea di Donald Trump


A questo quadro, già complesso e delicato, si lega una questione più profonda che tocca il concetto stesso di libertà. La libertà promossa da Trump non è un progetto di emancipazione collettiva, ma una licenza di abbandonarsi agli istinti più bassi. È una libertà che giustifica l’insulto, la discriminazione e l’odio, contrapposta a un presunto “politicamente corretto” imposto dalle élite. Trump si rivolge direttamente alle fasce sociali più deboli, con un messaggio che scava nelle paure e nelle insicurezze: “Io, maschio – bianco – etero, a te uomo – maschio – bianco ti rendo di nuovo libero”.

Il messaggio non solo è passato, ma ha attecchito in profondità. Ha alimentato una lotta di classe orizzontale, non più contro chi detiene il potere economico, ma contro chi condivide la stessa condizione sociale, pur essendo “altro” rispetto a me: un immigrato, una donna, una minoranza. Oppure verso il basso, contro chi, nella narrazione trumpiana, “toglie risorse” o “rende insicure le nostre città”.

Questo fenomeno, però, non si limita né agli Stati Uniti né a un paese specifico. È l’essenza di un’internazionale sovranista che avanza rapidamente, coordinandosi non tanto su un pensiero unico, quanto su un obiettivo comune. Cambiano i volti – in alcuni casi, come in Italia, anche il genere – ma il modello resta lo stesso: un attacco sistematico alla pluralità e alle istituzioni democratiche, mascherato da rivoluzione popolare.

Per una socializzazione della politica

La domanda politicamente, ma anche sociologicamente, più interessante è perché questo profondo malcontento verso le ingiustizie evidenti non venga indirizzato davvero verso chi ha in mano le redini di questa grande ragnatela: un’oligarchia economica e politica. Senza una risposta a questa domanda, sviluppata e pensata su una scala anch’essa globale, difficilmente si scalfirà questo sistema che mira a concentrare ancor di più le ricchezze, evitando “freni e lacciuoli” e, parallelamente, a cambiare volto alle istituzioni.

Qualcuno, giustamente, potrebbe obiettare che è un processo che va avanti da decenni. Giusto. È così. Non si è capito o non si è voluto vedere; in entrambi i casi, ci sono gravi responsabilità sulle mancate risposte e, ancor di più, sulla costruzione di un pensiero di contrapposizione capace di rispondere alle esigenze sociali o, più semplicemente, alle ingiustizie e storture del mondo. A questo dovrebbe servire la politica – giusto?

Invece, viviamo in un periodo storico in cui cresce l’interesse per il dibattito quotidiano anche su temi sociali e civili ma, parallelamente, decresce la partecipazione a partiti, organizzazioni sindacali, associazioni e persino alle elezioni stesse. Si cerca una risposta individuale, non collettiva. Ognuno ha voglia di dire la sua, di scendere in campo sull’ennesima discussione social, ma difficilmente si muove per uscire di casa e partecipare a un evento, una riunione o un’iniziativa. Restando, però, sul campo dell’individualismo o dell’opinionismo generalizzato, nulla si muoverà. Nulla cambierà. È lo stesso schema che vogliono Trump, Musk e tutti gli altri. In quel campo sono più forti. C’è bisogno, invece, di una nuova socializzazione della politica, che deve tornare a incidere sulla vita e sui problemi delle persone, non una discussione continua che non sposta di un millimetro i processi decisionali.

Nel prossimo articolo una riflessione su “Elon Musk come attore politico”

Politica: Identità, rappresentanza, territorio

Cosa ci potrebbe essere dopo la peggior sconfitta della storia Repubblicana del centro-sinistra in Italia? La peggior sconfitta della Storia Repubblicana con il maggior astensionismo di sempre nelle elezioni politiche. La sintesi brutale degli ultimi 5 anni sta tutta qui. Il 4 marzo 2018 apre la parentesi. Il 25 settembre 2022 (forse) la chiude.

Agli errori dei cinque anni precedenti, quelli del renzismo rampante, per darci un’idea, si sussegue una legislatura in cui si riesce a fare persino peggio. Dove ci sono le idee, non c’è uno straccio di organizzazione. Dove ci sarebbe il partito, si parla solamente di come gestire il potere. Quando si incontra qualche persona di buona volontà si trova il modo per ostacolarla. Carte mischiate ogni tre per due. Alleanze variabili. Porte girevoli. Colpi di scena come in una soap sudamericana.

Al di là di questi problemi che per carità già rappresentano una questione non di poco conto, la sonora sconfitta deve portare tutte/i ad interrogarsi sulle questioni alla radice dell’agire politico: l’identità, rappresentanza e legame con il territorio. Se non è chiaro cosa vogliamo e chi vogliamo rappresentare la politica diventa un club di persone intente a raccontarsi storie e pensieri, a volte interessanti, a volte molto noiosi, tra loro. Il territorio banalmente deve essere il luogo di atterraggio dell’elaborazione politica ma anche il mezzo per il quale si raccolgono nuove sfide. Il campo della sfida non un orpello del novecento.

La risposta che è arrivata dal campo progressista è stata timida, vaga, difficilmente comunicabile ma soprattutto incapace di cogliere la realtà quotidiana. L’Italia è un Paese che da più di tre elezioni evidenzia un malcontento crescente verso chi ha responsabilità di Governo e in questi anni al Governo c’è stato quasi sempre il Partito Democratico. L’omologazione davanti all’incapacità di risolvere le problematiche ha generato rabbia e disillusione ma la responsabilità verso il Paese non vuol dire annullare le differenze politiche o essere garanti dello status quo, perché poi alla fine non c’è più nulla da difendere.

E’ un paese, il nostro, in cui in molte periferie delle città non si hanno i servizi essenziali, in cui le aree interne sono abbandonate al loro destino, in cui tante persone fanno davvero fatica ad andare avanti. Soprattutto al Sud. I risultati elettorali rispecchiano questa cartina.

Ognuno in questa parte di campo ha le proprie responsabilità, proporzionalmente al ruolo e alla capacità di incidere, ma per tutte e tutti deve cambiare l’approccio ai problemi delle cittadine e cittadini. Basta nicchie chiuse e comode, per parlare solo di ciò che più ci piace. I partiti in questi anni non hanno più cercato iscritti ma follower, dimenticando che i social sono un mezzo utile, se si sanno usare, ma non il fine. La sconfitta può essere una buona insegnante ma bisogna avere l’umiltà di voler apprendere. Sui temi economici, a mio avviso, la destra non avrà la forza e la volontà per toccare granché. Sui temi civili e ambientali bisognerà vigilare e mobilitarsi se sarà necessario.

La campana è suonata per tutte/i. Rifondare. Trovare altre strade, altri percorsi, altri modi di coinvolgere e rappresentare. Al Pd non basterà un semplice congresso per aggiustare il tiro o per trovare un altro segretario sacrificale. A Sinistra Italiana – Verdi non può banalmente bastare questo risultato. Il Movimento Cinque Stelle dovrà dimostrare con i fatti e nel tempo la sua posizione laburista e sociale. Altrimenti, come in un film circolare ci ritroveremo tra 5 anni in una situazione simile o leggermente peggiore di quella di oggi. Il percorso lo conosciamo.

Conte II: tutto o niente

Tutto o niente, opportunità o fallimento, un governo capace di unire o quanto meno riavvicinare due anime nate dalla stessa costola o una baruffa continua di pochi mesi. Questi sono gli opposti scenari del Governo Conte II ed il limite, tra un successo ed una Caporetto, è davvero esile.

Il matrimonio tra Pd e 5 Stelle nasce nel momento in cui i due partiti sono al punto di massima distanza. Nessuno si sarebbe scandalizzato nel 2013, quando l’accordo sembrava il naturale sbocco alla “non vittoria” Bersaniana. Nessuno si sarebbe scandalizzato quando il M5S candidava Rodotà, Prodi e Gino Strada al Quirinale ( solo per dirne alcuni). In 6 anni è successo di tutto ed il contrario di tutto: Letta e l’Enrico Stai Sereno, Renzi, il Partito nazione e il 4 dicembre da una parte, la scatoletta di Tonno, gli streaming, l’opposizione dura e pura, la vittoria alle politiche, l’accordo con Salvini ed il tracollo dall’altra.

Se il lancio della Moneta darà Niente, il risultato lo sappiamo tutti: la Lega sfonda alle prossime elezioni politiche, Salvini e La Meloni eleggeranno il Presidente della Repubblica e ci saranno cenere e macerie nei dem, nei 5 stelle e anche a sinistra del Pd, incapace di organizzarsi decentemente in questi anni. Fine della partita. Game, set, match per la Lega e i sovranisti ed in questo caso la toppa sarà stata peggiore del buco.

Se il lancio della Moneta darà tutto, beh, inizia una nuova storia che ipoteticamente potrebbe e dovrebbe portare ad alcuni interessanti scenari, su tutti la responsabilizzazione del Movimento ed una riconnessione sentimentale con alcuni pezzi di elettorato persi per sempre nella boria e nell’immobilismo di questi anni dalle parti del Nazareno. Raramente si avrà la possibilità in Italia di un Governo che potrebbe agire con coraggio sul welfare, sui diritti sociali e civili, sulla riconversione ecologica dei sistemi di produzione e della società, sulla valorizzazione dei beni comuni, sulla centralità di un sistema di welfare pubblico e la ricostruzione di un rapporto costruttivo con le parti sociali. Pensiamoci ma soprattutto ricordiamo, a chi sta nella cabina di regia, di non sprecare questa insperata e probabilmente ultima occasione.

Come iniziare dunque a riempire questo vuoto attuale? Evitando di riproporre i dirigenti che nei governi Renzi/Gentiloni non ne hanno beccata una neanche per sbaglio ed i Ministri del Conte 1, costruendo un Governo in cui le donne siano presenti e protagoniste (ma non per riempire una casella ma per dimostrare che si ha un’idea completamente diversa di società e quindi di politica), scegliendo in base alla competenza, al merito e non alle correnti, riconoscendo la disumanità dei decreti sicurezza 1 e 2, lavorando sul cuneo fiscale delle aziende, ragionando sui grandi temi dell’automazione industriale, mettendo in sicurezza il territorio italiano, indiscutibilmente europeista nel senso autentico del termine.

Insomma abbiamo bisogno di un Governo che non prometta l’assurdo, che sia meno spaccone e più umile, che faccia delle cose semplici e per bene, mostrando rispetto per le Istituzioni e agendo seguendo i principi della nostra Carta Costituzionale. Chiedo troppo?